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domenica 28 dicembre 2008

Prima parte.

Erano le 8,35 e l’inizio del lavoro era fissato per 9,00.
Ero salito al 107° piano a fare colazione e adesso ero ridisceso al 87° piano della torre nord, dove si trova il mio ufficio.
La giornata fuori era splendida e questo mi ha spinto ad andare alla finestra a guardare il panorama, che ormai vedevo da anni. Sotto di me vedevo solo formichine che correvano in ogni dove.
Dal 107° piano fino all’ultimo che’è il 110° si poteva godere una vista mozzafiato - dicevano le guide - ma i nostri uffici avevano finestre rimpicciolite da una presenza di gabbie metalliche interne che supportavano la struttura. Quelli situati lungo i molti corridoi interni, prendevano luce da un grande cielo di plastica che sovrastava il centro della torre.

In ufficio erano arrivate già centinaia di persone, ma i miei più intimi non erano ancora giunti, ed ecco il motivo per cui stavo riguardando il panorama, che invece di farmi sentire libero mi opprimeva. Quasi ogni mattino facevo le stesse cose, e quand’ero alla finestra, non guardavo, ma pensavo a cosa avrei potuto fare se non fossi stato costretto a stare in quel posto. Non è che il mio lavoro non mi piacesse, anzi, ma quando mi mettevo a pensare al lavoro che mi sarebbe piaciuto fare, chissà perché mi venivano in mente sempre lavori dove potevo contare su larghi spazi, come il pescatore, il montanaro, il cercatore di funghi, od il pastore di un gregge di pecore. Alle 8,45... Voi vi starete chiedendo perché alle 8,35 avevo già fatto colazione e mi trovavo già nel mio ufficio quando l’inizio del lavoro era fissato per nove? Adesso vi accontento. Perché mia figlia Susy di 14 anni, deve entrare a scuola alle 8,00 al Greenwich Village e trovandosi questi, sulla mia strada, ogni mattino gli do uno strappo. Contenti?
Dicevo, alle 8,45 è arrivato George con Helen e solo allora sono ritornato al mio posto. Ho steso la mano a George augurandogli una buona giornata, mentre ad Helen l’ho baciata sulle guance, come facevo ogni mattino. E’ passata Gloria, una mia collega che ha la scrivania poco distante dalla mia, e da lontano mi ha mandato un bacio. Poi sono entrati assieme una trentina di persone fra cui c’era Justine, la mia vicina di scrivania…e la mia preferita. Ci siamo abbracciati e stavamo parlando delle solite cose mattutine, quando abbiamo sentito un rombo d’aereo in avvicinamento. Abbiamo subito pensato che si trattasse di un’emergenza, perché su Manhattan lo spazio aereo è chiuso, quindi in molti sono andati alle finestre, spinte dalla curiosità, per vedere con i propri occhi chi era che produceva quel rumore insolito, per quel luogo. Io e Justine abbiamo approfittato di quell’attimo di “solitudine” e ci siamo baciati più convenevolmente. Per l’orologio dell’ufficio si erano fatte le 8,48. Il rombo del motore si sentiva sempre più vicino, ma dalle finestre del nostro piano non riuscivano a vedere niente. Ad un tratto, c’è stato uno schianto spaventoso, e la torre ha iniziato ad oscillare di metri in tutte le direzioni. Io e Justine,


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Seconda parte.

Io e Justine abbiamo approfittato di quell’attimo di “solitudine” e ci siamo baciati più convenevolmente. Per l’orologio dell’ufficio si erano fatte le 8,48.
Il rombo del motore si sentiva sempre più vicino, ma dalle finestre del nostro piano non riuscivano a vedere niente. Ad un tratto, c’è stato uno schianto spaventoso, e la torre ha iniziato ad oscillare di metri in tutte le direzioni.
Io e Justine, per nostra fortuna, siamo stati scaraventati, abbracciati, come ci trovavamo, verso il lato libero dell’ufficio, e quindi non urtando niente di duro nella corsa, ci siamo rialzati immediatamente senza subire danni. Poi, mentre le oscillazioni continuavano, ma sempre più lentamente, ci siamo sostenuti a vicenda per non cadere.
Tutti gridavano e scappavano verso le scale mobili e quelle d’emergenza, visto che gli ascensori dovevano essere certamente fuori uso, o lo sarebbero diventato per una successiva interruzione di corrente elettrica. Anche le scale mobili potevano non funzionare, per la stessa ragione, ma la differenza sta nel fatto che anche senza elettricità, le scale mobili sono pedonabili e non si resta incastrati. A tale scopo, gli addetti alla sicurezza, cioè quelli che una volta venivano chiamati “Pompieri” ci avevano sottoposto a molte prove di sgombero, e ribadito che in caso di pericolo, in nessun caso era conveniente prendere l’ascensore, perché, anche se momentaneamente funzionanti, poteva sopravvenire un’interruzione d’elettricità e si poteva restare bloccati.
In quel momento in molti si erano dimenticati delle lezioni ricevute, e si dirigevano sul lato opposto, con la speranza di trovare gli ascensori funzionanti, come se “quell’altro lato” non facesse parte dello stesso fabbricato e non rientrasse nelle stesse norme di sicurezza.
Dalla finestra si vedevano cadere calcinacci e qualcosa che bruciava.
Justine voleva andare a cercare suo marito e suo fratello che lavorano a due piani sopra di noi. Io gli dicevo che forse sarebbe stato più opportuno se non si fosse mossa dal suo posto, perché era più pensabile che sarebbero venuti loro a cercarla, trovandosi nella via di fuga. Difatti siamo usciti nel corridoio verso le scale ed abbiamo già trovato centinaia e centinaia di persone che si riversavano come ossessi verso i piani inferiori.
Nel mentre ci guardavamo in giro, abbiamo intravisto Alex, il fratello di Justine che veniva verso l’ufficio della sorella, e avendola scorta, si sbracciava per essere a sua volta visto fra quella marea di gente che lo trascinava. Non so come, ma con una fatica enorme, è riuscito a non farsi trascinare da quel fiume in piena, ed è venuto verso di noi. Justine ha chiesto notizie di Victor, suo marito, ma Alex ha detto di non averlo visto, né in ufficio e né di scendere, ma che non si doveva preoccupare, perché Victor, aveva l’abitudine di andare a scambiare due chiacchiere con i suoi vecchi colleghi di un tempo che si trovavano al 70° piano e forse, anche volendo, con quella calca che c’era per le scale, gli sarebbe stato impossibile salire da lei. Lei non se la sentiva di scendere, solo sulla parola di suo fratello, ed ha voluto andare a constatare di persona. Tanto ha detto: “sono solo due piani!” Alex l'ha seguita. Non l’ho più rivisti. Speriamo che si siano salvati!
Come si poteva immaginare, eravamo senza elettricità e le scale mobili erano ferme, ma la visibilità era assicurata dall’andata in funzione dell’impianto d’emergenza. Ho iniziato la mia discesa cercando di non farmi trascinare dalla folla, ma era impossibile, allora mi sono messo in un cantuccio ed ho aspettato che la massa più grande passasse. Dagli ascensori a due piani, che possono trasportare fino a cento persone per volta si sentivano grida di aiuto e urla lancinanti. Qualcuno, forse appartenente al settore tecnico sbatteva sulle porte con un oggetto metallico per essere sicuro di essere sentito, ma inutilmente, le porte erano bloccate e noi anche volendo non potevamo fare niente per tirarli fuori. Era roba da esperti, ma da come vedevo muovere le persone, si capiva che se anche avessero saputo e potuto, non lo avrebbero fatto: ognuno pensava solo a se stesso!
In tutto l’edificio c’erano 120 di quelle trappole in funzione, e quello era il momento in cui viaggiavano a pieno carico, per l’approssimarsi dell’ora d’inizio lavoro. Ero in mezzo ad una folla che cercava disperatamente di mettersi in salvo, ma ancora non sapevo cosa fosse realmente successo. La cosa più probabile era che quell’aereo di cui avevamo sentito il rombo dei suoi motori, ci era piombato addosso e si era incendiato. Passata la marea, ho iniziato la mia discesa… Ecco può darsi che Justine ed Alex siano passati nel mentre mi sono fatto da parte. Speriamo! Una targhetta mi diceva ch’ero al 79° piano.
La mia quasi calma era dovuta al fatto che essendo stati colpiti i piani superiori, potevamo esseri certi della stabilità della torre, ed il fuoco era troppo lontano per poterci offendere. Poi, siccome non sono un atleta e non frequento nessuna palestra per mantenermi in forma, ho pensato di prendermela calma. Chi avrebbe mai pensato di scendere a piedi 87 piani? Qualcuno ci aveva mai provato? Quanto tempo aveva impiegato?
C’erano grida continue ed una polvere sottile che rendeva difficoltosa la respirazione. Ho cercato di prendere un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, per coprirmi la bocca, ma ho trovato solo un pacchetto di Clinex. Ho maledetto mentalmente questa moda americana, divenuta poi mondiale, ed avrei tanto desiderato di trovare in tasca i fazzolettoni che mia madre mi aveva dato come corredo quando me ne andai a vivere da solo.
Visto che non c’era di meglio, ho tirato fuori i Clinex, e li ho bagnati sotto una pompa d’emergenza che qualcuno, sceso prima di me, aveva svegliato dal lungo letargo dovuto ad anni d’inattività, e più per la fretta che per dimenticanza, non aveva più rimesso al suo posto: “Emergency Fire” dipinto d’arancione.
Aveva lasciato che l’acqua scorresse quel tanto che chi ne avesse avuto bisogno, potesse bagnarsi. Grazie amico!
Molti mi sorpassavano. Erano più giovani o avevano più paura, diciamo premura, per non voler sembrare un eroe senza paura. Sentivo suonare un campanello: forse era uno di quelli che alle nove, invitava i dipendenti di quel piano ad iniziare il lavoro. Vedevo gente, che come nulla fosse successo, camminava comodamente per i corridoi e quasi sorrideva di tutta quella gente che per un “nonnulla” si slanciava per le scale come femminucce.
Forse quell’atteggiamento era giustificato dal fatto che essendo 15 piani più sotto, al nostro piano, che poi non era il piano dell’esplosione, altrimenti non starei qui a raccontarvi la discesa, non avevano sentito lo stesso schianto dell’aereo e la torre non avrà avuto le nostre stesse oscillazioni. Ero arrivato al 64° piano in dieci minuti. Ho fatto un rapido calcolo e sono arrivato, alla conclusione, che con quel passo, aggiungendo le pause per riprendere fiato, più qualche fermata per aiutare qualcuno in difficoltà, e calcolando che ai piani inferiori avrei incontrato un numero maggiore di persone, ci avrei messo ore per uscire da quel palazzo. Non è che avessi qualche appuntamento urgente, ma io sono il tipo che quando inizia una cosa, la vuol portare a termine il più presto possibile, e questa era una di quelle occasioni in cui il più presto possibile è di rigore.
Mi son fatto forza mentalmente ed ho aumentato l’andatura: senza però passare sulla gente a spintoni e fare quei fastidiosi zig zag come fanno gli automobilisti in autostrada. Al 60° piano ho sentito un brivido salirmi dalla schiena. Mi ha sorpassato una donna completamente nuda, con la pelle come una patata bollita. Doveva essere in stato di choc; aveva gli occhi spiritati e nonostante le sue condizioni scendeva molto più speditamente di me senza emettere un che minimo lamento. Avrei voluto aiutarla, ma mi chiedevo cosa potevo fare. Nelle sue condizioni avrei avuto anche paura di toccarla. La gente vedendola, automaticamente si rimpiccioliva e si scostava di lato per farla passare. Mi sono accorto che la mia andatura era aumentata, dal fatto che adesso ero io che riuscivo a sorpassare qualcuno. Al 50° piano le mie gambe hanno preteso una pausa e mi sono seduto sui gradini di una scala laterale, per non essere d’impedimento a chi doveva scendere… e più, per non essere schiacciato dalla massa che scendeva come tori impauriti. Dopo qualche attimo, una ragazza si è seduta accanto a me piangendo, e senza dire una parola, ha appoggiato la testa sul mio petto, come forse neanche mia figlia avrebbe fatto.

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Terza Parte.

Io ho alzato il mio braccio destro e senza dire niente l’ho cinta e strattonata lentamente facendogli sentire il mio calore e la mia solidarietà.
L’ho guardata; era una ragazza sulla ventina, bruna, con la faccia piena di polvere, che mischiandosi con le lacrime, era diventata come quella specie di fango, che a volte vedevo comparire sulla faccia di mia moglie, quando voleva farsi bella. A proposito, io ho una moglie!
Penso che ormai la CNN avrà già data la notizia in televisione e lei sarà in pensiero per me. Ora le telefono e le dico di non preoccuparsi che fra poco esco dalla torre… ma mi sono accorto che il mio cellulare, lo avevo lasciato sulla scrivania dell’ufficio insieme alla giacca, le sigarette e le chiavi della macchina. "Fa 'nculo" la macchina e le sigarette, ma il cellulare poteva essermi comodo! Forse lei mi starà telefonando da tempo e sente che il telefono è acceso ma io non rispondo. Chissà cosa penserà?
Mi sono ricordato di avere una ragazza sotto il mio braccio destro e le ho chiesto se noi ci conoscevamo. Mi ha risposto di no!
Dopo circa un minuto le chiedo se vuole scendere con me, ed è pronta a farlo. Mi dice di sì, ma mi chiede se sono disposto ad attenderla pochi secondi per espletare una funzione corporea impellente.
Le dico di sì, anzi, per non lasciarla sola, invece di attenderla l’accompagno.
Mi dice di non guardare, perché ha paura di chiudere la porta del bagno.
Io mi giro e non guardo. Dopo poco iniziamo la discesa.
Ad ogni piano si sentono grida di gente rimasta imprigionata negli ascensori. Tutti noi siamo diventati sordi a quelle grida. Solo un prete, forse, perché era bianco di polvere, inginocchiato fuori di quella porta prigione, pregava e cercava di portare conforto a chi era rimasto imprigionato. Anche se non sono credente, ho ringraziato Dio di essere libero.
Man mano che si scende aumenta la concitazione. Ogni tanto si vede scendere gente con gli abiti pieni di polvere e sangue: “Forse si saranno feriti, quando le torri hanno oscillato così tremendamente?” Chiedo alla mia accompagnatrice come si chiama, e lei mi dice di chiamarsi Angela. Sei italiana le chiedo?
Lei mi risponde di sì, ma che non ha mai visto l’Italia. Quel nome gli viene da una bisnonna italiana arrivata chi sa quando e come negli States.
Adesso, la tengo per mano per non perderla. C’è sempre gente che corre e ci sorpassa e chi invece affannosamente sale in cerca di qualche parente che lavorava ai piani superiori. La discesa è pesantissima, ma la salita penso che sia tremenda, e solo a qualche persona ottimamente preparata, potrebbe venire la pazza idea di fare quella scalata.
Solo allora mi viene in mente che altri poveracci come noi, i nostri colleghi che lavoravano ai piani sopra l’esplosione, che non potendo scendere, per causa dell’incendio, avranno cercato scampo salendo sul terrazzo del 110° piano e sperando che qualche elicottero li andasse a salvare, prima che l’incendio si arrampicasse per le scale e li sopraggiungesse. Poverini, se la saranno vista più brutta di noi che siamo aiutati dalla legge di gravità e nonostante questo ci lamentiamo!
A volte, anche in questi momenti tragici, la mente pur occupata in cose importanti, come mettersi in salvo, per la nota legge della sopravvivenza, si mette a fantasticare. La mia, si è messa a pensare ai traghetti sul fiume Hudson e si è ricordata, che detti battelli sono dotati di mezzi atti alla sicurezza ed al salvataggio dei passeggeri, come le zattere e i salvagenti. Allora mi è venuto in mente un’idea folle: “E se sul terrazzo del 110° piano avessero messo non dei salvagenti, ma dei deltaplano o dei paracadute per il parapendio?
Non dico tutti, ma penso qualcuno pratico si sarebbe potuto salvare: visto che molti si buttavano dall’alto anche senza paracadute!
Alle 9,05 si sente un altro schianto, ma la torre dove siamo noi vibra di pochissimo. Forse, penso io, sarà scoppiato qualcosa d’infiammabile depositato nei piani dove è avvenuto l’incendio. Dopo poco, una signora ch’era in comunicazione col marito, che lavorando ai piani bassi, aveva già guadagnato l’uscita, dice che un aereo ha colpito l’altra torre gemella: quella sul lato Sud. Come è possibile che due aerei cadano nello stesso giorno su due torri che sono visibili da miglia distanti? Allora, quasi in coro ci ricordiamo che esistono gli attentati, e gli attentatori, e che l’America non è vista tanto di buon occhio, in giro per il mondo, specialmente in quello Arabo.
Questo passaggio repentino da disgrazia ad attentato, fa aumentare di colpo le grida e la concitazione. Il passo automaticamente diventa più veloce.
A qualche altro, invece, gli fa venire la voglia di farla finita e si fa cadere giù da quell’altezza incredibile. Istintivamente la gente si gira dall’altra parte per non guardare, ma c’è qualcuno che come ipnotizzato si guarda quella macabra scena fino a che non vede più il corpo volare.
Sono le 9,20 e siamo al 52° piano. Stiamo quasi rispettando la tabella di marcia che mentalmente mi sono imposto. Ad un tratto sentiamo un rumore fortissimo: era l’enorme copertura di plastica che dava luce all'interno dell'edificio, che il calore aveva fatto sciogliere e cadere giù nel centro della torre. Automaticamente la gente si è spostata verso l’interno delle scale e nei corridoi, per non essere investita, ma parecchi vengono colpiti e trascinati nel vuoto. Molti si feriscono. Qualcuno ringrazia ad alta voce Dio che quell’enorme copertura, pesante tonnellate, cadendo ha fatto così poche vittime.
Man mano che si scende, la folla sulle scale aumenta, perché anche chi stava ai piani bassi e in un primo momento aveva deciso di non scendere, venuta a sapere del secondo impatto o vedendo cadere la copertura, si è accodata automaticamente alla fiumana che gli stava da tempo passando davanti.
Una signora di questi piani, diciamo bassi, che come già detto, in un primo momento aveva deciso che non era il caso immischiarsi in mezzo a quella folla, in preda al panico corre e gridando dice di aver visto passare, davanti alla finestra del suo ufficio, decine di corpi umani avvolti in palle di fuoco.
La situazione dovrebbe essere più grave del previsto e in tutti cresce la smania di uscire da quel budello irrespirabile. Approfittando della pausa, mi sono tolto la camicia e l’ho bagnata sotto una pompa d’emergenza, che forse lo stesso amico che scende prima di me, apre. “Grazie di nuovo amico!”
Mi rimprovero mentalmente per non averci pensato prima.
Come un gentiluomo d’altri tempi, strappo la camicia in due pezzi, e ne offro uno alla mia accompagnatrice che lo accetta con un sorriso e con una stretta delle sue dita che già si trovavano nella mia mano.
Eravamo al 35° piano, quando un pazzo furioso si è fatto largo tra la folla ed ha detto di aver ricevuto una telefonata dall’esterno di un suo amico ingegnere, che gli diceva di lasciare al più presto possibile quella tomba, perché il grande calore prodotto dall’incendio ai piani superiori avrebbe sciolto le travi d’acciaio della torre come burro, e nella migliore delle ipotesi, almeno i piani superiori sarebbero crollati. Come nella migliore delle ipotesi? E nella peggiore?
Non ci voglio neanche pensare!
Come risposta immediata, è iniziato un fuggi fuggi generale e in un istante non si è capito più niente. Gente che cadeva e veniva schiacciata da chi seguiva, gente che si sentiva male e che nessuno si fermava per aiutare. Gente che spingeva come un bulldozer per avere la precedenza. Un ragazzo con un tagliacarte in mano, che usava come fosse un machete, minacciava chi lo precedeva, per avere la strada libera davanti a lui.
Erano le 9,40 ed eravamo arrivati al 30° piano.

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Quarta Parte.

La calca si è fatta insopportabile. Molte volte ero sul punto di perdere Angela ma poi le sue grida e molta fortuna, me l’hanno fatta sempre ritrovare.
Chissà se Angela non era in realtà un Angelo inviatomi dal signore?
Un bambino, che stava nell’enorme pancione di una donna di colore, ha sentito il bisogno di nascere proprio in quel momento. La puerpera si è spostata nello spazioso corridoio, si è stesa per terra e dai gesti e dai movimenti della bocca, sembrava che gridasse come una forsennata, ma noi assistevamo ad un film muto. Le sue grida erano assorbite da un enorme mormorio collettivo. Qualcuno gridava di mantenere la calma, qualche altro gridava a quelli che stavano davanti di andare più in fretta. Quasi ad ogni momento, si sentivano grida strazianti, pianti irrefrenabili e in continuazione chiamare a pieni polmoni nomi di persone. Forse qualcuno veniva diviso da qualche altro o chissà cosa vedessero davanti agli occhi, che noi non vedevamo.
Questa cosa è successa tante di quelle volte, da quando ho iniziato la discesa, e tanto dei nomi che ho sentito, che ad un certo punto ho pensato che in quell’inferno, fosse sceso il diavolo in persona a fare l’appello. Meno male che con la ragazza partoriente c’erano due donne, forse due colleghe, o due amiche trovate come io avevo trovato Angela. Abbiamo trovato un distributore di bibite sabotato, anche se in quell’occasione, anche per un giudice, tutto è lecito, e sabotare mi sembra una parola troppo grossa. Abbiamo approfittato per bagnarci e pulirci un poco la bocca ch’era diventata attaccaticcia per la troppa polvere ingoiata, nonostante avessimo ancora le due metà della mia camicia a proteggerci naso e bocca.
Erano le 9,50 ed eravamo al 20° piano. Ora si scendeva molto più lentamente, sembrava che in quel posto ci fosse una riunione o un party tanto della gente ch’era radunata. Ad ingolfare ancor di più la situazione si è messo una banda di un centinaio di pompieri che, agghindati di tutto punto, come strani fantasmi di mondi sconosciuti, si recavano ai piani superiori per spegnere l’incendio dal di dentro della torre, e gridavano di lasciare spazio per farli salire più in fretta. Che uomini coraggiosi!
Noi tutti, che avevamo in quel luogo, parenti, colleghi, amici e conoscenti, scappavamo come conigli inseguiti dal lupo, mentre loro, per quei quattro biglietti verdi che prendono a fine mese, andavano incontro alla morte. (Difatti, dopo ho saputo che non sono più usciti da quell’inferno.)
Alle 9,52 eravamo al 10° piano e Angela mi ha chiesto se potevamo fermarci. Gli ho chiesto se si trattasse di un’altra perdita idraulica, ma lei mi ha detto che non si sentiva più le gambe. Gli ho chiesto di fare un ultimo sforzo, ma lei mi si è afflosciata tra le braccia. Volevo fare come fanno quegli eroi cinematografici che prendono la loro bella sulle spalle e la portano in salvo. Ci ho provato, ma Angela non si è sollevata da terra, neanche di un centimetro: non perché il suo peso fosse eccessivo, ma soltanto perché le mie braccia, non abituate a sforzi, si rifiutavano.
Raschiando dentro di me, ho trovato solo la forza di tirarla un poco in disparte e stenderla su un mucchio di cartaccia che forse doveva andare al macero. Ci siamo riposati, forse un paio di minuti, forse 30 secondi, poi con un poco di coca cola, preso in un altro distributore ”sabotato” l’ho fatta rinvenire. Dall’alto piovevano ininterrottamente su di noi, vestiti, documenti, e frammenti di cose calde e fumanti, che nessuno si fermava ad analizzare. Per quegli ultimi 10 piani abbiamo impiegato un’eternità, fortuna che verso il piano, qualcuno ci ha aiutati a scendere più velocemente invitandoci a dirigerci verso il lato orientale dell’edificio: era un poliziotto di colore, ma era più bianco della sabbia del deserto.
Erano le 10,00 precise, quando siamo usciti dall’edificio.
Ambedue avevamo le macchine nel garage della torre, situato a cinque piani sotto il livello stradale. Manco a pensarci di andarle a recuperare. Era così bello trovarsi non più rinchiusi in quello scatolone, che solo ad un pazzo poteva venire l’idea di andarsi a rinchiudere di nuovo e scendere ancora cinque piani sotto terra, per recuperare la macchina: poi anche volendo, non avevo neanche le chiavi?
Io e Angela ci siamo abbracciati e siamo stati in quella posizione per diversi minuti, poi abbiamo continuato ad allontanarci da quell’incubo sospinto dai poliziotti e dai volontari. Eravamo usciti da un incubo ed entrati in un altro.
Ad ogni passo s’incontravano cose mai immaginate di vedere, neanche nei più fantasiosi e orridi films di fantascienza. I morti, o quello che restava di loro, erano sparsi dappertutto. Ovunque si posassero gli occhi c’era una scena raccapricciante. Ho visto immagini di una carneficina inimmaginabile.
Parti di corpo umano che galleggiavano in mezzo ad uno strato di rifiuti e detriti. Angela, già provata da quella discesa infernale, è svenuta all’istante.
Un signore, forse un infermiere, l’ha fatta rinvenire e dopo di averci chiesto se volevamo essere accompagnati in ospedale, alla nostra risposta negativa, ci ha dato una bottiglia d’acqua minerale ed una coperta e ci fatto gli auguri, pregandoci di allontanarci in fretta da quel luogo.
Angela camminava ad occhi chiusi per non vedere, ma nonostante io la guidassi e la tenessi strettamente, inciampava spesso su qualcosa. L’ultimo inciampo è avvenuto su un tronco umano con una sola gamba: Forse quello è stato il pezzo più grande che abbiamo visto. Pensavo che Angela svenisse di nuovo, invece ha preso la sua coperta ed ha coperto quell’ammasso inguardabile.
Nell’aria c’era un odore di plastica e gomma bruciata e si faceva fatica a respirare. Ci stavamo dirigendo verso la Promenade sul fiume che porta al Greenwich Village, assieme ad una fila di sopravvissuti, non meglio conciati di noi, quando abbiamo sentito un altro schianto. Ci siamo girati di scatto e abbiamo visto la torre Nord cadere su se stessa, alzando un polverone che si dirigeva velocemente nella nostra direzione.
Erano le 10,07. Abbiamo fatto un ultimo sforzo, e correndo, siamo riusciti ad essere investiti solo marginalmente da quella nuvola di torre che tentava in tutti i modi di raggiungerci e carpire la nostra vita soffocandoci. Quando abbiamo avuto la sensazione che potevamo fermarci, lo abbiamo fatto sedendoci su una panchina. Eravamo ancora mano nella mano. Ci siamo guardati in faccia e nell’abbracciarci abbiamo scaricato senza ritegno le nostre lacrime.
Solo allora iniziavamo a comprendere la tragedia che aveva colpito l’America, e la fortuna che avevamo avuto noi per poterlo raccontare.
In quel momento mi è passata per la mente Justine; quella donna di colore che stava partorendo e quel poliziotto che al quinto piano aiutava la gente a scendere più in fretta: “Chissà se sono riusciti a salvarsi?!”
Dopo il pianto ci siamo guardati in faccia… e siamo scoppiati a ridere, tanto forte che sembrava stessimo piangendo di nuovo. La gente che stava accorrendo verso le torri in cerca di notizie si è fermata per un attimo nel vedere quella scenetta insolita. Eravamo ricoperti da uno strato di polvere, sembravamo due minatori appena usciti da una miniera di zolfo. Io ero con mezza canottiera sfilacciata e bruciacchiata e solo mezza gamba del pantalone. Angela era senza camicetta e reggiseno e senza scarpe, ma coperta di polvere sembrava avesse un vestito coloniale.
Una ragazza ch'era in strada ed aveva interrotto lo Joggins, gli ha offerto il giacchettino che portava attaccato in vita, per coprirsi il sedere.
Ho chiamato casa da un cellulare che volontariamente qualcuno mi ha offerto per avvertire mia moglie dello scampato pericolo. Mi ha risposto la segreteria telefonica dicendomi che mia moglie si era diretta verso le torri per vedere che fine avessi fatto. Gli ho lasciato a mia volta un messaggio, che stavo bene e che presto sarei tornato a casa. Angela era single e abitava da sola alla periferia opposta di New York. Gli ho chiesto se gli faceva piacere venire a casa mia e lei ha detto di sì. Abbiamo fatto cenno ad un taxi di avvicinarsi e ci siamo fatti accompagnare alla mia abitazione. Eravamo senza soldi, ed ho chiesto al taxista di avere soltanto la pazienza di attendere qualche secondo, il tempo di entrare in casa e prendere i soldi per il pagamento, ma lui ha detto che non importava, che la corsa ce l’eravamo guadagnata in quella torre.
I miei vicini, vedendoci in quelle condizioni, ci sono venuti incontro e dopo baci e abbracci e offerte di aiuto, si sono disposti sui due lati del vialetto di casa, come se fosse una parata militare, ed hanno scandito i nostri passi con applausi, come a volte si fa per onorare i novelli sposi.
Siamo entrati in casa, meno male che mia moglie ha lasciato la chiave sotto lo zerbino, ed ho chiesto ad Angela se desiderava farsi un bagno. Ha detto che forse lo desiderava ma non aveva la forza sufficiente. Io, non per emulazione ho detto la stessa cosa, ed allora ci siamo seduti sul divano buono del salone e dopo un attimo dormivamo mano nella mano, senza pensare a mia moglie che forse avrebbe trovato da ridire, non sul fatto di trovarmi abbracciato con una piacente signorina, ma che c’eravamo seduti sul divano nuovo combinati in quella maniera schifosa.
La televisione aveva mostrato in diretta la caduta delle torri ed il sindaco Giuliani, aveva pronosticato molte migliaia di morti. Noi due eravamo i sopravvissuti!
Quando ci siamo svegliati, abbiamo trovato mia moglie e i nostri figli che accovacciati davanti a noi ci guardavano come se fossimo marziani. Ho fatto le presentazioni, abbiamo assicurato i parenti di Angela che era viva e che per il momento non aveva bisogno di niente, poi siamo andati a farci, un bagno “lavatore e ristoratore” e poi ci siamo presentati in pubblico come eravamo una volta. Come eravamo una volta? Penso proprio di no! Non saremo più come eravamo una volta! Avremo per il futuro quelle scene sempre davanti gli occhi, ed avremo paura di affrontare un viaggio in aereo o salire in un grattacielo più alto “di due piani.” Avrò paura di bere acqua del rubinetto temendo che i pozzi potrebbero essere stati avvelenati. Avrò paura di mandare i miei figli a scuola; avrò paura di entrare in un cinema o un qualsiasi locale affollato; avrò paura di entrare in un autobus, per paura d’incontrare un kamikaze. Quando sentirò il motore di un aereo rombare sopra la mia casa, non resisterò di stare al chiuso, ma uscirò fuori per seguire la sua rotta ed essere sicuro che non sia io il suo bersaglio. Dopo questo fatto penso che ci sarà recessione e forse perderò il mio posto di lavoro: che ho già perso con la caduta delle torri. Forse cercherò un altro lavoro o forse, anche se non sono capace, è venuto il momento di andare a fare il pescatore o il pastore.
Angela ha detto che in me ha trovato il suo Angelo custode e che senza di me sarebbe sicuramente rimasta in quell’ammasso di detriti! Io avevo già pensato di lei la stessa cosa, che forse senza di lei mi sarei attardato ad aiutare qualcuno e sarei rimasto per sempre lì dentro. Adesso non riusciamo a lasciarci! Lei è ritornata nel suo precedente alloggio, ma mi ha detto che sta pensando di ritornare dai suoi genitori, perché non riesce più a stare da sola, sia emotivamente e sia economicamente: vista ch’è rimasta senza lavoro. Ogni mattino, appena svegli, ci telefoniamo. Ci basta sapere che siamo vivi e che stiamo bene. Ogni domenica vado a prenderla e la porto a mangiare a casa mia! Ormai fa parte della mia famiglia: anche a mia figlia e mia moglie piace questa ragazza e sono contente di vederla. Io?… Come è lunga una settimana!


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